martedì 15 dicembre 2020

Andar con le ciaspole

Dopo il libro sui sentieri di Finale ci vuole qualche suggerimento su itinerari dove andar con le ciaspole. o con gli sci e le pelli che sono due sport più consoni al periodo invernale, e, siccome sono di parte, iniziamo con qualcosa sugli itinerari situati nel Piemonte del nord.
L'Ossola è una zona molto adatta per questi sport e con le sue valli laterali offre itinerari per tutti i gusti. Sono 79 quelli descritti  nella prima edizione   nella guida "Tracce bianche : con le ciaspole e gli sci dal lago Maggiore al Monte Rosa. 79 gite brevi" di Erminio Ferrari e Alberto Paleari. pubblicata nel 2013 da MonteRosa Edizioni. Di particolare c'è che sono riportati i gradi di apprezzamento degli itinerari fatti sia con  le ciaspole sia con gli sci lasciando al lettore  la decisone ultima su  cosa utilizzare  per la progressione, perchè ci sono itinerari che sono da percorrere assolutamente con le ciaspole ed altri dove ci si diverte di più con gli sci. Leggendo le prime pagine  scopriamo subito che il libro è molto simpatico, perchè mette ambedue gli sport, camminare con le ciaspole e lo scialpinismo, sullo stesso piano relegando la scelta dei mezzi al gusto ed alle capacità personali.  E' simpatico anche perchè le gite elencate non sono percorribili solo da superman delle nevi, e lo dice il titolo stesso: 79 gite brevi, quindi accessibili anche da chi è senza allenamento, da chi ha poche ore a disposizione e da chi vuole fare lunghe soste per godersi il paesaggio e magari tornare a casa con la luce della luna. All'inizio le gite descritte  dovevano avere un dislivello contenuto fissato ad un massimo di 1000 m, ma poi, come le ciliege,  una gita tira l'altra e per non escluderne alcune di poco più lunghe ma facili, o altre particolarmente belle, ne sono state aggiunte ulteriori 22 di cui solo 6  superano i 1200 m ma tutte hanno  in comune  il fatto di  svolgersi in ambienti spettacolari. La guida comprende il territorio che va dalle montagne del lago Maggiore con mete frequentate come il Limidario fino alla zona del Mottarone con punte tipo il Monte Falò, dove, se in questi ultimi inverni è difficile trovare abbondante innevamento, lo stupendo panorama sul Monte Rosa e sulle Alpi Pennine, Lepontine  e Retiche  nonchè sulla pianura, compensa ampiamente il dover togliere e rimettere le ciaspole per superare gli eventuali tratti senza neve.
Poi si risale la valle Strona sopra Omegna, dove vengono descritti gli itinerari più classici come il Massone, il Cerano con altri forse meno battuti come il Capezzone o la cima di Ravinella. In valle Anzasca forse sarà difficile trovare un innevamento idoneo per salire al Pizzetto sopra Bannio a causa della sua bassa quota, ma risalendo la valle troveremo senz'altro percorsi  più innevati come il Torrione di Rosareccio o il Pizzo d'Antigine.  Valle dopo valle in ognuna troviamo una scelta di itinerari  fino ad arrivare lassù verso il passo di San Giacomo, in cima alla val Formazza, paradiso per eccellenza degli sport invernali, frequentato tutti gli anni da migliaia di scialpinisti e ciaspolatori. Nella guida non poteva certo mancare la bella Valle Vigezzo  presentata con 7 itinerari tra i quali il Pizzo Ruggia dove alla salita con le ciaspole vengono date tre stelle, mentre ce n'è solo una per quella con gli sci.

Nel  2015 è stata pubblicata una seconda edizione che comprende 87 gite. La nota dolente è che ambedue le edizioni non sono più presenti nel catalogo della Monte Rosa Edizioni, ma, nell'attesa che arrivi presto  una terza edizione, speriamo siano ancora reperibili presso qualche libreria della zona, altrimenti potete venire in biblioteca a prendere in prestito la guida 

Un'ultima cosa. Nella guida non ci sono cartine, neanche un piccolo riquadro che riporti almeno le creste principali, gli alpeggi e le punte, quindi è indispensabile avere una carta topografica almeno in scala 1:25.000 

 

 

Anche Cesare Re ha dato il proprio personale contributo all'andare con le ciaspole. La sua guida si intitola  "Con le ciaspole in Valsesia, Ossola, Centovalli, Sempione"  Edizioni Macchione 2009.
Per le gite qui descritte  è necessaria un po' più di esperienza, non che siano difficili, ma sono descritte un po' sommariamente, come succede spesso nelle guide di questa casa editrice. Per contro vengono fornite parecchie informazioni sulle caratteristiche della zona. E' forse l'unica guida che riporti alcuni  itinerari da fare con le ciaspole in Valsesia. Al di fuori della mia valle  comprende anche alcune gite che si possono fare in inverno su terreno senza neve, come gli Orridi di Uriezzo, o l'itinerario n. 34 che fornisce info utili per un giro sul treno delle Centovalli.  Sono 40 gli itinerari compresi nel volume di 151 pagine dove le molte e bellissime fotografie fanno venire voglia di partire subito. 9 di questi itinerari sono dedicati alla Valsesia, una valle che offre senz'altro di più, ma che bisogna scoprire poco a poco, 7 all'alpe Devero, 6 alla val Vigezzo, gli altri sono sparpagliati tra le rimanenti valli dell'Ossola. Parecchi sono riportati anche sulla guida descritta più sopra, ma non tutti.E' una guida utile per scoprire una zona nuova, per via delle informazioni sommarie come sottolineato più sopra. Anche qui mancano riquadri con riferimenti topografici e perciò diventa ancor più indispensabile munirsi di una buona carta topografica.

martedì 8 dicembre 2020

Sentieri di Finale

Ma insomma perchè un libro di camminate in Liguria quando in giro c'è tanta neve? Perchè non recensire una delle tante guide con itinerari da fare con le racchette da neve o con gli sci da scialpinismo? Semplicemente perchè ci sono persone che d'inverno vanno a Finale ad arrampicare in compagnia di amici che non arrampicano e questi ultimi  magari si annoiano un po' perchè non sanno dove andare.
La mia ultima esperienza di escursione in Liguria, propio nella zona di Finale non è stata delle migliori. Vi basti sapere che ci siamo trovati in cinque (noi due e altri sconosciuti coi quali abbiamo fatto gruppo)  in un bosco e nessuno sapeva dove andare: c'erano tre sentieri, ma nessuna indicazione sulla destinazione. Poi è arrivata una ragazza quasi alla disperazione che, pur avendo in mano un foglio con un itinerario scaricato da internet, ripeteva di non sapere la propria posizione. Nonostante le nostre due cartine e la guida (vecchiotta, a dire il vero) tra tutti non riuscivamo a capire dove eravamo perchè  c'erano i tre sentieri su menzionati ma la conformazione del terreno non corrispondeva a quanto riportato ne' sulle carte nè sulla guida. Non basta vedere i sentieri, bisogna anche sapere dove conducono, e in questo la lacuna delle info sul luogo era gigante. Comunque alla fine tutti sono arrivati alle mete prefisse.
Molto ben attrezzati per giri in MTB, per l'escursionismo c'era ancora molto da fare, ma visto che dalla
nostra esperienza sono passati alcuni anni, sono certa che le lacune sono state colmate.

Ho scelto la guida "Sentieri di Finale: 45 itinerari per camminare e correre tra Borgio Verezzi, Finale Ligure e Noli" di Marco Tomassini, edizioni Versante Sud, 2013, propio per la vicinanza dei sentieri alle principali pareti di arrampicata, e poi anche perchè gli itinerari proposti si prestano benissimo alla corsa in montagna come testimoniato nelle tante belle foto che corredano il testo.
Questa guida è un piccolo gioiello perchè approfondisce molte caratteristiche di ogni itinerario: oltre alle consuete info tipo lunghezza, dislivello, tempo di percorrenza e difficoltà, molto importante è il segnalare la presenza di acqua lungo il percorso e le indicazioni per muoversi con i mezzi pubblici senza problemi di posteggio e, informazione non meno preziosa delle altre, la qualità del segnale per il cellulare, indispensabile in caso di emergenza. Nella descrizione  dei percorsi troviamo appositi riquadri  dedicati  agli edifici  storici e religiosi che si incontrano per via.


Aprendo a caso la guida mi sono imbattuta nell'itinerario n. 20 che descrive l'anello dei Frati che passa dalla bella Grotta dell'Edera la cui stanza superiore presenta un'apertura sul soffitto e dal castello bizantino di Finale chiamato Castrum Perticae con partenza ed arrivo presso un agriturismo. L'intero percorso richiede due ore e mezza per 500 m di dislivello e si svolge interamente su sterrato.
C'è anche la descrizione della traversata di Capo Noli da Verigotti a Noli, talmente famosa da non avere bisogno di ulteriori note introduttive. Per chi invece cerca qualcosa di un po' più difficile ecco l'anello Rialto-Miniere d'argento del Marchesato: 960 m di dislivello con difficoltà EE  e 6 h di percorrenza. La difficoltà è dovuta al fatto che il sentiero di discesa scelto per il rientro e quello della deviazione necessaria per arrivare alle miniere sono scarsamente visibili.
Infine per chi volesse fare un salto nel passato ecco la traversata da Finalborgo a Varigotti. In 11 km e 600 m di dislivello in salita e altrettanti in discesa,  si attraversano quattro tipici borghi di mezzacosta risalenti al medioevo (Monticello, Lacremà, Verzi e La Selva) che offrono uno spaccato sulle caratteristiche dell'entroterra finalese. Se poi invece delle 2 ore e mezza previste per la camminata se ne impiegano di più, vuol solo dire che si è approfittato della passegiata per curiosare tra le tipiche case dei quattro borghi.
Tutti gli itinerari sono  corredati di una dettagliata cartina dove sono posizionati i punti più caratteristici  riportati nelle descrizioni dei percorsi. Belle e sinificative le fotografie che illustrano gli itinerari: panorami sconfinati sul mare e sull'entroterra, bellissimi boschi, vedute di paesi, tratti di strade sterrate, di sentieri... C'è di tutto in queste foto che hanno una cosa in comune: fanno venire voglia di andare a fare un giro da quelle parti, anche se necessita aspettare tempi migliori. La quasi totalità degli itinerari è percorribile tutto l'anno, e quindi non mi resta che augurarvi  buone passeggiate.

Infine una notizia che farà comodo ad alcuni. Su issuu.com è possibile scaricare le prime 21 pagine del libro, così ci si può fare un'idea di come è fatta questa guida.

martedì 24 novembre 2020

Tre album di foto sulla val Mastallone.

Le antiche foto attirano sempre la curiosità di molte persone ed anche quelle che sono frutto del reportage di viaggio che Ugolino Fadilla, alias Adolfo Guallino, ha fatto partendo da Varallo fino a Macugnaga non sono da meno. Siamo quasi alla fine del XIX° secolo, e il Club alpino italiano,  che allora aveva sede a Torino, aveva indetto in collaborazione col Circolo dilettanti fotografi un concorso fotografico al quale parteciparono grandi nomi dell'alpinismo come Vittorio Sella, Guido Rey, e della fotografia come Vittorio Besso. Il concorso mirava all'allestimento di una grande esposizione fotografica che avvenne poi nel 1893. Tra i 28 espositori presenti nell'elenco ufficiale Adolfo Guallino non compare e nemmeno Ugolino Fadilla, ma quest'ultimo nome è presente nella relazione dell'evento comparsa su “La rivista mensile del Cai” n. 3 del 1893.  Qui è riportato che il Fadilla fu premiato con una medaglia d'oro nella categoria dilettanti, ottenuta unitamente ad una menzione speciale. Il premio gli fu assegnato dal Comitato per l’Esposizione  del Circolo dilettanti fotografi che aveva organizzato la mostra nei propri locali. Non si sa chi scelse l'editore per pubblicare le sue foto, che sappiamo furono stampate in tre volumi più un indice di didascalie  nel 1893 a Torino presso la Stamperia Reale Paravia,  la stessa che in quegli anni curava le pubblicazioni del Cai. Durante il lavoro di riordino della biblioteca sezionale mi sono trovata tra le mani l'opuscolo delle didascalie (sono 8 pagine compresa la copertina) e l'elenco delle 123 vedute mi ha incuriosito non poco. Dei tre volumi nella nostra biblioteca non c'è traccia, probabilmente sono scomparsi negli anni bui della sezione successivi alla seconda guerra mondiale, quando il materiale in uscita dalla biblioteca non era soggetto ad alcun controllo. Ho anche cercato sui principali data base di libri di antiquariato e non ne ho trovato traccia, e nemmeno nel mitico Perret (bibliografia di letteratura di montagna dai primi scritti fino al 1997) per cui si può ipotizzare  che ne siano state stampate poche copie e che chi ce l'ha se lo tenga ben stretto.  Quindi è stato con viva sorpresa che ho saputo dalle pagine del Corriere Valsesiano della presenza presso il comune di Fobello di tre album contenenti le fotografie originali scattate dal Fadilla durante il suo viaggio. Poi grazie all'architetto Enrica Ballarè, venuta in biblioteca a cercare materiale utile per la stesura dei testi, ho saputo che le foto, debitamente restaurate e digitalizzate, sarebbero state pubblicate in un libro, e così, finalmente, avrei potuto associare un luogo preciso ad ogni didascalia dell'opuscolo.


Il risultato è stato una sorpresa perché si è ottenuto un volume  molto ricco di contenuti, come ci rivela il titolo: “Da Varallo a Macugnaga passando per Fobello e Baranca. 1887-1888. Le fotografie di Ugolino Fadilla. Considerazioni di un meraviglioso viaggio alpino” a cura di Enrica Ballarè. Le considerazioni menzionate spaziano dalla tecnica fotografica utilizzata all'epoca per scattare le foto, all'analisi di come si svolgeva la vita quotidiana e quali erano le tradizioni nella val Mastallone di fine 800,  a come era l'andare tra i monti  e ai cambiamenti nel paesaggio avvenuti in seguito ad interventi antropologici  e naturali   a partire dagli anni in cui si è svolto il viaggio del Fadilla  fino ai giorni nostri. Per questi testi l'architetto  Ballarè  si è avvalsa della collaborazione di uno staff di studiosi  come Daniele Regis, Marco Negri, Enrico Rizzetti, Marco Giardino, Gianni Mortara, ognuno dei quali ha trattato precisi argomenti legati al periodo e ai luoghi riprodotti negli album. Le molte foto del Fadilla utilizzate per integrare questi testi, mettono in risalto alcuni particolari che  nel catalogo iconografico che conclude la pubblicazione, sfuggono all'occhio dei meno attenti solo perché stampate più piccole. Ma c'è molto da osservare, anche perché se sull’opuscolo presente in biblioteca le didascalie sono 123, nei tre album di Fobello le foto sono 235, segno evidente che qui sono compresi tutti gli scatti fatti durante il viaggio e non solo una selezione come risultava dall’opuscolo. Ecco allora che vediamo lo Stabilimento idroterapico di Varallo in fase di costruzione, il Piano delle Fate con il sentiero che sale verso Brugaro,  i tetti di paglia di due case alla Ferrera e la galleria scavata nella roccia poco prima dell'abitato, la segheria al Gulotto di Fobello, il lago di Baranca e l'albergo Alpino, e poi ritratti e  scene rubate alla vita quotidiana degli abitanti in ogni località della valle. Le foto non sono limitate al territorio di Fobello ma l'autore ha fatto anche brevi visite a Rimella, ove ha immortalato la chiesa della Madonna del Rumore, la frazione Grondo, e altre vedute. Tornato a Fobello è salito fino a  Cervatto  dove ha immortalato il paese col suo castello recandosi poi fino a villa Banfi.  L'ultima foto della zona di Fobello è scattata al Col d'Egua, poi più nulla fino a Pecetto di Macugnaga, dove gli scatti  del Fadilla si sono sparpagliati tra le case walser e i dintorni. Qualche foto riprende il torrente Tombach che attraversa Macugnaga, in piena. E' forse da attribuire al brutto tempo la mancanza di foto nel percorso tra il Col d'Egua e Pecetto? Possibile che Carcoforo e l'alta val Quarazza non gli abbiano suscitato nessuna ispirazione? Non lo sapremo mai. Arrivato a Macugnaga, il Fadilla ha documentato molto bene l'ascensione  al Nuovo Weissthor  e su alcune foto si vede anche il nuovo rifugio che la nostra sezione e la sezione Ossolana del Cai avevano costruito nel 1891.  Non mi quadra la data della costruzione  del rifugio con quella del viaggio, ma credo che il Fadilla  sia tornato a Macugnaga in un secondo momento ed abbia aggiunto solo successivamente queste foto: non è un problema importante. L'importante è avere questa stupenda documentazione fotografica, che ci apre una finestra su com'erano la  val Mastallone e Macugnaga 130 anni fa. E più importante ancora è che il comune di Fobello come promotore, il Lions Club come editore, e gli autori abbiamo avuto la splendida idea di fare in modo che tutti avessero la possibilità di giovarsi del frutto del lavoro  di un fotografo “dilettante”, (che, a giudicare dal risultato ottenuto, tanto  dilettante non era), ma che si è rivelato un viaggiatore molto attento a tutto quanto lo circondava.

 

martedì 17 novembre 2020

Romanzo sul futuro.

 Riprendiamo dopo una pausa estiva la pubblicazione delle recensioni di libri sulla montagna. 

Il tema scelto, lo sviluppo turistico in montagna, è un argomento molto delicato e da decenni divide le persone che amano la montagna in due fazioni opposte che si possono riassumere con Pro e Contro il turismo di massa. Lungi dal ritenere di avere in tasca  la soluzione al dilemma, vorrei provare seppur alla lontana, ad affrontare  l'argomento.
Vivendo in un piccolo paesino di montagna, so quali sono le difficoltà che si affrontano quotidianamente per vivere a 1200 m di quota. Recarsi al lavoro a più di 25 km di distanza e a circa 700 m di quota più in basso impone levatacce mattutine che possono essere peggiorate solo dal fatto che in inverno a casa nevica e al lavoro piove e quindi ci si deve alzare ancor prima del solito per spalare la neve ed arrivare all'auto per poi  mettersi in strada e non sapere se si arriva a destinazione perchè magari una valanga ha interrotto il transito.  A rendere più difficili le cose ci sono anche l'isolamento forzato, la luce che va via a causa di una pianta caduta sui fili e la consapevolezza che pure d'estate sono sempre 20  i km che bisogna percorrere per arrivare alla farmacia, al supermercato, all'edicola, al negozio di scarpe, al cinema  e a tutto il resto. I servizi  mancano e  gli asili e la scuola sono sempre ai classici 20 km di distanza.  No, non è facile vivere in montagna. Ma se si vuole il contatto con la natura, con aria e acqua pulite, se si vuole fare una camminata tra pascoli e boschi senza utilizzare l'auto neanche per fare un km, se si vogliono i paesaggi incontaminati, se si vuole vivere in un ambiente dove, quando  hai bisogno di aiuto, tutti si fanno avanti, anche chi non ti parla da anni, e sopratutto se si vuole vivere dove rimane il cuore tra un fine settimana e l'altro e si è consapevoli dei disagi ai quali si va incontro, allora la vita in montagna, per lo meno su alcune montagne,  è quel che fa per noi. Poi c'è l'altra  montagna, quella che è talmente sfruttata turisticamente, tanto da diventare una sorta di città in quota in continua espansione, perdendo gran parte della poesia del viverci, ma dove la vita è un po' più facile perchè tutto è a portata di mano. A guardare un po' più lontano dal proprio proverbiale naso, c'è da porsi due  domande. La primariguarda il  come andrà a finire nei centri alpini quando non si sarà più posto per nuovi impianti, nuovi alberghi e nuove case? Forse c'è un momento in cui gli amministratori di questi comuni devono avere il coraggio di dire BASTA!! Basta a nuovi impianti, alle nuove case, ai nuovi alberghi, ai nuovi negozi, all'eterna rincorsa dell' "Io, centro turistico, offro a chi viene da me una cosa che tu, altro centro turistico, non hai!"  Però non conosco nessun posto dove finora sia stato pronunciato questo basta, e  la corsa continua. La seconda domanda è sul come saranno invece  i piccoli paesi che vivono solo delle proprie risorse e non hanno, o non vogliono avere, ricchezze territoriali da sfruttare a favore del turismo di massa? Io credo che posti come Cervinia, Madonna di Campiglio, Courmayeur, e i tantissimi altri centri alpini famosi,  non avendo il coraggio di dire quel basta menzionato prima, tra cento anni saranno ancora pronti ad ospitare le folle di turisti, mentre i  piccoli paesini, come quello dove abito,  che attualmente vivono un turismo di nicchia limitato a poche persone, magari emigranti che tornano sul suolo natio per le vacanze,  tra un secolo, ma anche meno, nella migliore delle ipotesi saranno abitati solo d'estate, o magari addirittura spopolati.

Tutta questa premessa per introdurre l'ultima fatica di Marco Sartori dal titolo Il mistero della montagna edito da Spunto Editori nel 2014. 


Ambientato nella Val Grande di Lanzo e più precisamente a Chialamberto negli anni 70 del secolo scorso, è un romanzo che ha tutti i personaggi del caso: c'è Arnaldo Defendini, ingegnere e imprenditore di successo che vuole portare il turismo invernale nel comune e che sogna la costruzione di piste da sci e di un abergo, il tutto con la speranza di riempire di denaro non solo le tasche degli abitanti della valle, ma anche, e sopratutto, le proprie; c'è Aurora la segretaria totalmente spaesata nell'ambiente naturale che si presta agli incarichi più strani per evitare un ipotetico licenziamento, ci sono il sindaco favorevole al cambiamento  e i compaesani tra i quali c'è anche chi non è convinto; c'è  l'oste che fatica a tirare avanti con l'unico albergo del paese diventato fatiscente e che spera in una ritrutturazione. C'è anche Findalo un ragazzo, quasi un folletto, che abita nei boschi della valle e li conosce alla perfezione,  personaggio un po' misterioso un po' fantastico che alla fine riuscirà a sistemare le cose; e infine c'è la Signora della montagna, che dona un che di magico a tutta la storia.

Sono 251 pagine dalla lettura molto piacevole che ricordano, seppure in maniera molto blanda, il dilemma che alcune località di montagna hanno dovuto affrontare in passato, quando  propio quella neve che fino al giorno prima li isolava dal mondo,  li avrebbe proiettati verso un domani dalla vita più facile, combattendo, almeno in parte, lo spopolamento del paese ma al prezzo altissimo della perdita della propria identità fatta di  antichi valori e centenarie tradizioni. 

Una cosa però non l'ho capita ed è il particolare rgiuardo che l'autore ha riservato a Defendini scrivendo sempre ingegnere con la i maiuscola, mentre segretaria, personaggio senz'altro più simpatico è sempre scritto minuscolo. Che sia un errore di battitura sfuggito al correttore di bozze o  fatto apposta per sottolineare l'importanza di un personaggio arrogante, ambizioso e senza scrupoli?

venerdì 4 settembre 2020

E' buio sul ghiacciaio

Per andare in montagna si possono scegliere vari modi. a seconda di quanto ci teniamo a raggiungere una punta. Se si hanno soldi, si può arrivare a spendere varie decine di migliaia di euro per scalare l'Everest come alcuni  fanno oggi, altrimenti nel 1952  si poteva decidere di partire in bicicletta e dopo aver pedalato per 240 km, fare la salita in prima solitaria della via aperta da Cassin sulla parete nord-est del Pizzo Badile in sole 4 ore, quando una cordata normale  ci  impiegava 3 o 4 giorni, e inforcare nuovamente la bicicletta per tornare a casa,  per poi addormentarsi pedalando e  svegliarsi pochi secondi dopo al contatto delle gelide acque dell'Inn. Questo singolare episodio, la dice lunga sulla tenacia con la quale Hermann Buhl scalava le montagne.
Nato nel 1924 a Innsbruck è riconosciuto come uno dei più grandi alpinisti dell'epoca.Ultimo di 4 fratelli dopo la morte della madre, a quattro anni fu mandato in orfanatrofio. Accolto dalla famiglia di una zia,  nonostante avesse un fisico gracile, iniziò nel 1930 a fare le prime escursioni in montagna e nel 1939 si iscrisse al Club Alpino Austriaco. Iniziò a fare escursioni sempre più impegnative, rinforzando contemporaneamente il fisico arrivando presto a fare ascensioni su roccia del VI grado di difficoltà, finchè nel 1940 divenne guida alpina realizzando uno dei suoi sogni. 

Da quel momento la sua attività alpinistica fu tutta un successo dopo l'altro, al punto che nel 1953 fu chiamato a fare parte della spedizione tedesca al Nanga Parbat. Hermann iniziò a tenere un diario di questa incredibile esperienza che il 3 luglio  lo vide raggiungere in solitaria gli 8125 m  della vetta.
L'anno dopo usciva la prima edizione di E' buio sul ghiacciaio, nel quale era descritto il suo approccio alla montagna, le prime scalate, le prime conquiste e che divenne subito un classico della letteratura alpinistica.
Nel 1957  partecipò a una seconda spedizione che lo portò in vetta al Broad Peack. Pochi giorni dopo tentò la salita del Chogolisa con Diemberger, ma il  destino aveva deciso che Hermann non sarebbe mai tornato da questa montagna: morì il 27 luglio precipitando a causa della rottura di una cornice intanto che  rientravano all'ultimo campo dopo avere rinunciato alla salita a causa del maltempo. Su suggerimento di Hermann stesso si erano slegati in salita intorno a 7000 m di quota. era una bellissima giornata e Buhl era in perfetta forma. Come a volte succedein altissima quota, un repentino cambio di tempo rese impossibile proseguire la salita, imponendo il rientro durante il quale avvenne la tragedia.
Anche durante questa spedizione Buhl tenne un accurato resoconto.  La trascrizione integrale di entrambi i suoi diari  avvenne solo cinquanta anni dopo, grazie all'interessamento di Kurt Diemberger, suo ultimo compagno di cordata, e Hans Kammerlander. Grazie aDiemberger  la vedova di Hermann recuperò i diari del marito, e una un anno dopo il tragico incidente una spedizione giapponese ritrovò un ulteriore diario che venne consegnato alla vedova.

In questo volume sono racchiuse alcune tra le più belle pagine di storia. All'epoca di Hermann Buhl essere chiamati a partecipare a una spedizione in Himalaya  un onore riservato a pochissimi. Bisognava essere forti alpinisti, il costo del viaggio era  alto e poche, se non nulle, erano le informazioni che riguardavano i territori attraversati; anche le salite erano delle incognite sia come terreno che come difficoltà;  erano un espressione di conquista non solo di vette inviolate ma anche della scoperta dei limiti umani, perchè poco si sapeva degli adattamenti dell'uomo alle grandi quote. Anche l'attrezzatura in dotazione agli alpinisti, pur essendo la migliore in commercio, era ben lontana da quella in uso anche solo pochi decenni più tardi. 

La foto di copertina è il ritratto di Buhl ad opera di Fritz Aumann presa durante la salita al Nanga Parbat.



mercoledì 20 maggio 2020

Due libri... strani ma attuali

In questi tempi di covid 19 la nostra vita ha subito quasi ogni genere di cambiamenti: le dimostrazioni di affetto al di fuori dell'ambito familiare sono diventate inesistenti, non possiamo più uscire di casa se
non per acquistare beni primaria  necessità o recarci in farmacia o per andare al lavoro. Anche se la situazione è un po' cambiata in questi ultimi giorni, la nostra libertà è comunque messa a dura prova.  Tutto questo mi ha fatto venire in mente due libri che ho letto tempo fa e che in qualche modo rispecchiano alcuni aspetti  della situazione che stiamo vivendo in questi ultimi mesi.

Il primo si intitola La parete  la cui prima edizione tedesca, dal teutonico titolo Die Wand,  risale al 1968. L'autrice, Marlene Haushofer, di origini austriache, racconta le vicissitudini di una donna che è invitata da una coppia di amici a trascorrere qualche rilassante giorno di vacanza in uno chalet di caccia situato in una imprecisata radura in un'altrettanto imprecisata zona di montagna. Tutto ciò che si sa è che appena arrivati allo chalet la coppia di amici si reca nel paese vicino per fare acquisti lasciando la loro amica in compagnia di Lince, il loro segugio bernese. Passano le ore ma la coppia non fa ritorno. Durante la notte lo chalet rimane isolato dal resto del mondo da una misteriosa parete invisibile sorta all'improvviso. Qui comincia il racconto, sotto forma di diario, della protagonista che, resasi finalmente conto di essere sola,  vede che proprio quella parete che l'ha isolata  da tutto, le ha preservato  la vita, perchè oltre la trasparente barriera sembra  che il tempo si sia fermato: tutto è immobile come se fosse scandito in un interminabile e infinito secondo.  Deve perciò industriarsi a risolvere i problemi a cui va inevitabilmente incontro, primo tra tutti come sopravvivere. Lo potrà fare solo grazie alle poche nozioni che, negli anni trascorsi nell'agiatezza,  aveva  dimenticato ed all'aiuto dei suggerimenti riportati su un vecchio calendario attaccato a un muro. Quella che l'aspetta è una  vita nuova, che la porterà ad avere una nuova conoscenza di sè, e che segnerà l'inizio di una lenta rinascita scandita dai ritmi della natura che la circonda e che l'aiuterà ad affrontare un futuro ricco di incognite, in compagnia di un cane, due gatti.  In una baita trova una mucca incinta,  diventa pastora e veterinaria, si inventa agricoltore, perchè riesce a piantare alcuni semi e alcune patate grazie alle quali riuscirà a sfamarsi in futuro; si inventa esploratore, perchè vuole capire quanto è estesa questa parete invisibile. Nel frattempo la primavera si è trasformata in estate e poi in autunno e bisogna preparasi per l'inverno che porterà un grande colpo di scena.
La protagonista termina la stesura del diario a causa di un banale problema: ha finito la carta sulla quale scrivere i propri pensieri, e con questo finale Marlen ci ha fatto un dono immenso, un dono che pochissimi autori fanno ai propri lettori.  Ognuno di noi può scegliere il finale che preferisce, quello che gli è più congegnale, quello che gli suggerisce la fantasia, quello che non delude mai, tutti andranno comunque bene.
Nel 2012 dal libro è stato tratto anche un film dal titolo Die Wand  interpretato da Martina Gedek e diretto da Julian Polsler. Nello stesso anno il film ha vinto parecchi premi tra i quali quello della giuria ecumenica al Festival Internazionale del Cinema di Berlino.
Edito per la prima volta in italia nel 1989 il libro cartaceo nel 2018 è giunto alla  settima ristampa. E' disponibile anche nel formato ebook sia per kindle sia per kobo e tolino.



La parete di Marlene Haushofer, Roma: Edizioni E/O, 2010

Il secondo volume è ambientato tra le Alpi Veglia e Devero. Il titolo Fuggire all'alpe rispecchia all'apparenza il sogno  che molte persone appassionate di montagna e desiderose di vivere tra la natura, vorrebbero realizzare, ma che, per i più svariati motivi, non possono attuare. Tra gli appassionati di montagna, lanci la prima pietra chi nella vita non ha pensato almeno una volta di mollare tutto e andare a vivere in un piccolo paesino tra i monti, in sintonia con la natura, lontano dalla vita frenetica stressante e caotica che offre la città. In questo libro quel che cambia, quel che non è preso in considerazione nella realtà,  è il motivo per cui questa decisione viene presa dai protagonisti. La fuga è da una città caotica e violenta al limite della guerra civile dove vivere è diventato impossibile, una città dove l'anarchia la fa da padrone verso un luogo conosciuto per averci passato le vacanze in tempi più tranquilli. Se una volta si lasciava la montagna per recarsi in città verso un futuro fatto di posti di lavoro sicuri e di una vita più agiata, in queste pagine è una profonda crisi energetica, unita al pericolo vissuto nello stare in mezzo ad altre persone potenzialmente violente che innesca un'inversione di tentenza: si lascia la città per tornare alla sicurezza della solitudine offerta dalla montagna, dove la vita, nonostante gli inevitabili sacrifici, torna ad essere degna di essere vissuta.Come meta viene scelta l'alpe Veglia, che dove i protagonistitanti anni prima si recavano durante le vacanze ed i fine settimana per compiere escursioni verso i monti che circondano  la conca alpestre. Qui trovano alcuni loro amici che erano partiti tempo prima per lo stesso motivo e unendo le loro forze con quelle degli alpigiani già presenti formano una comunità che piano piano diventa sempre più autosufficiente.


La vita di tutti è scandita da regole prescise che nessuno ha imposto se non il buon senso e che tutti accettano incondizionatamente: quando c'è un problema se ne parla tutti insieme e si prende una decisione unanime.
Si sà che non sempre le ciambelle escono col buco, ed anche presso la piccola comunità che abita l'alpe e che accoglie i fuggitivi dalla pianura, la tranquillità tanto cercata è minacciata da qualcuno che vuole dominare, qualcuno che dotato di un forte carisma viene a sovvertire la tranquillità presente. Non tutti ci stanno e questo porterà ad alcune gravi decisioni.
Concludo con una personale riflessione: se ci fosse una comunità come quella citatanel libro io andrei a vivere là, dove nessuno comanda, dove regna il buonsenso, dove tutti aiutano e sono aiutati.
Fuggire all'alpe di Elvira Conti, Torino: Pangea edizioni, 1997

lunedì 13 aprile 2020

dopo coronavirus.. in autunno...magari... speriamo


Siamo in emergenza, nessuno può andare dove vuole e si esce di casa solo per giustificati motivi. Sono ormai decenni che sulle montagne non si sentiva un simile silenzio, una così profonda solitudine. Il periodo che stiamo attraversando è destinato, almeno per un certo periodo, a cambiare il nostro modo di vivere. Una cosa però rimarrà invariata: la nostra voglia di andar per monti, acuita da tutto questo più che giustificato #iorestoacasa. Chissà se e quando potremo regalarci qualche giorno a zonzo per l'Italia con lo zaino in spalla ? Chissà quando e come riusciremo a ritornar per monti? Per gli inveterati dell'andar per monti  oltralpe verso nazioni più o meno vicine, o magari verso continenti certamente più lontani, ma non solo per loro, questa è l'occasione per riscoprire alcuni cammini in Italia  che, come varietà di paesaggio e facilità di percorrenza, non hanno nulla da invidiare a quelli più famosi situati all'estero.
Ne ho selezionati 4 dislocati negli Appennini, tra Emilia Romagna e Basilicata, descritti in altrettante guide pubblicate da Terre di Mezzo nella collana Percorsi.

Partendo da nord a sud la prima guida riguarda la Via degli Dei di Simone Frognani  che invita gli escursionisti a recarsi da Bologna a Firenze attraverso i passi della Futa e dell'Osteria Bruciata lungo antichi sentieri che hanno visto nei secoli i mercanti trasportare la propria merce dal Mar Mediterraneo verso le città della Pianura Padana. La via, che inizia in Piazza Maggiore a Bologna e termina a Firenze in Piazza della Signoria, ha segnalazione dedicata, e ricalca per il 65% la Via Flaminia Militare. Richiede 6 giorni di viaggio e ricopre una distanza totale di poco più di 121 km dei quali il 20% sono su strade secondarie con fondo asfaltato mentre il resto è su strada sterrata e sentieri. La quota massima raggiunta è 1200 m. La guida, come tutte quelle di questa collana, è ben articolata: a una prima parte nella quale viene brevemente raccontato come è nato questo tracciato e alcune tappe sull'iter seguito per arrivare all'ufficializzazione del percorso, seguono alcune pagine con importanti consigli rivolti a chi si appresta a percorrerla. Anche la descrizione è accurata con le mappe dei percorsi delle singole tappe, con indicazioni sia pratiche, come lunghezza percorso, dislivello e orario, sia di  carattere logistico come dove dormire o chiedere informazioni turistiche della zona ecc. Sono inoltre  presenti interessanti specchietti di approfondimento su curiosità storiche e naturalistiche  e un utilissimo suggerimento sui principali  luoghi da visitare. Sulla guida sono anche indicate varianti per chi volesse affrontare il tragitto in bicicletta. Nelle ultime pagine è riportato il percorso inverso aggiungendo  così ulteriori informazioni sulla via. Prima di partire e per saperne di più indispensabile consultare il sito www.viadeglidei.it

La seconda camminata che vi propongo è Di qui passò Francesco : 360 km tra Verna, Gubbio, Assisi ... Rieti. di Angela Maria Seracchioli, giunta nel 2018 alla 7. edizione. La prima cosa che balza agli occhi di chi apre questa guida è la completezza: in 223 pagine abbiamo una guida escursionistica, una
per chi sceglie di spostarsi a cavallo, con gli asini e in mountain bike, e una per chi ha a disposizione solo la bici da strada.  L'impostazione delle info di base è uguale a quella del precedente libro e allora parliamo un po' dell'itinerario a piedi. Si parte a piedi dal Santuario della Verna, raggiungibile in circa 20 minuti di cammino da Chiusi, dove possiamo lasciare l 'auto perchè è facilmente raggiungibile coi mezzi pubblici che si utlizzeranno per il ritorno. 18 giorni di cammino dopo, ma si può suddividere il percorso  in periodi più brevi, dopo aver visitato San Sepolcro, Città di Castello, Gubbio, Pietralunga, Spoleto e un mucchio di altri posti legati alla vita di San Francesco i nostri scarponi ci avranno portato  a Rieti e più precisamente a Poggio Bustone, circa 16 km dopo Rieti. Per chi si sposta a cavallo, con gli asini o in MTB il n. delle tappe è sceso a 15 ma è salito il numero di km per tappa.  In alcuni tratti il percorso combacia con quello precedente, in altri invece le varianti  fanno riscoprire altri angoli caratteristici dell'Umbria.
Ancora meno tempo occorre per  fare il percorso con la bici da strada: solo 7 giorni. Anche in questo caso si allunga la percorrenza delle tappe che va dai 31 km della prima ai 78 della 5. Assisi- Romita di Cesi. Percorrere questo tracciato dal profondo valore religioso permette di riscoprire vallate con foreste millenarie, con suggestivi eremi, ricche di storia e cultura. Maggiori  info sul sito www.diquipassofrancesco.it o alla pagina fb Amici del cammino di qui passò Francesco.

Quasi in parallelo alla via appena descritta abbiamo scelto il Cammino delle Terre Mutate, di Enrico Sgarella, un  titolo singolare per indicare un territorio che nel tempo ha subito gravi cambiamenti. A farlo mutare sono stati i terremoti che a più riprese a partire dal 1997 hanno interessato questa zona divisa tra quattro regioni: Marche, Umbria, Abruzzo e Lazio. Le prime righe scritte nel libro recitano: "Il Cammino delle Tere Mutate, può essere definito, senza timore di eccedere, il primo itinerario escursionistico solidale d'Italia..." Mi pare un buon motivo per andare a farci un giro. Si parte da Fabriano, città famosa per le sue cartiere per arrivare a L'Aquila dopo 14 giorni e  257 km. passando per luoghi incantevoli come la Piana di Castelluccio, Norcia, Amatrice, Arcuata del Tronto e tanti altri. Si attraversano anche  due parchi: quello dei Sibillini e quello del Gran Sasso che con i loro panorami grandiosi e ricchi non mancheranno di allietare il nostro passaggio laciandoci un indimenticabile ricordo di queste terre tanto duramente  provate dal destino, quanto pronte per una difficile rinascita. Il tracciato si svolge sulla dorsale appenninica e attraversando quattro regioni è soggetto a condizioni climatiche molto variabili. Alle campagne marchigiane con clima più mite, seguono alcune tappe prettamente montane con altitudini che sfiorano i 1600 m di quota. La lunghezza delle tappe varia dai 9 km  (Collebrincioni - Aquila ultima tappa) ai 25,6 km (Mascioni - Collebrincioni, penultima tappa) ma anche le altre vanno affrontate con un poco di allenamento e circa il 80% del percorso è su strada sterrata e mulattiere. Il Cammino è nato grazie all'impegno di tre associazioni: Movinento Tellurico, trekking, ecologia e solidarietà: www.movimentotellurico.it; Associazione proletari escursionisti (APE) Sezione di Roma: ape.alveare.it e infine Federtrek escursionismo e ambiente: www.federtrek.org. a loro ci si può rivolgere per ulteriori info.

Decisamente più a sud si trova il Cammino Materano un tracciato che in una settimana ci condurrà da Bari a Matera ricalcando quello che era l'antica via Peuceta. Matera è punto di arrivo di ben cinque antiche vie: la via  Lucana che arriva a Paestum; la Via Ellenica conduce a Brindisi; la Via
Sveva che la collega a Trani e la via Dauna che termina a Trani. Una terra particolarmente ricca di storia, dove chi ama ripercorrere gli antichi sentieri, troverà pane per i propri denti.
Il percorso totale è di 168 km percorribili in 7 giorni. La famigerata tappa lunga è l'ultima: quando saremo un po' stanchi e molto allenati e dovremo camminare per quasi 30 km per portarci dal Santuario di Santa Maria di Picciano a Matera. La notizia bella è che a questa tappa c'è una variante che quasi dimezza il percorso a 17 km, ma si cammina quasi sempre su asfalto. Una delle cose assolutamente da vedere nel percorso lungo è la Riserva naturale orientata Oasi di San Giuliano: situata sul lago omonimo è una delle più importanti zone umide della Basilicata. Nel 2006 sulle rive dal lago è stato rinvenuto uno scheletro di balenottera risalente al Pleistocene. Sono tante le cose da vedere lungo questo tracciato e ancor più quelle da assaggiare: il pane di Altamura, le olive termite di Bitetto, il cece nero di Cassano, il lampascione...  Anche in questo caso un sito internet ci può orientare nella scelta di questo percorso rispetto altri, su www.camminomaterano.it tutte le info che possono esserci d'aiuto lungo il tragitto.

Qualunque sia  il trekking scelto non dimenticate prima della partenza di chiedere la credenziale del cammino, estendibile anche ai nostri cagnolini che ci accompagnano. 
C'è anche un'app.:  percorsiditerre.it molto utile per chi vuole avere a portata di mano tutte le info del trekking.

Riassumendo:
Guida alla Via deli Dei, da Bologna a Firenze e ritorno; Simone Frignani, 2018
Di qui passò Francesco; Angela Maria Seracchioli, 2018
Il Cammino delle Terre mutate; Enrico Sgarella, 2019
Il Cammino materano lungo la via Peuceta; Angelofabio Attolico, Claudio Focarazzo e Lorenzo Lozito, 2019
Tutte le guide sono edite da Terre di mezzo con sede a Milano.

sabato 4 aprile 2020

L' avventura gli "sfrosit"

Contrabbando: una parola che evoca non solo gli enormi quantitativi di droga e altre merci importate illegalmente che periodicamente  le Forze dell'Ordine sequestrano a trafficanti senza scrupoli. Nelle terre di confine, in particolare quelle situate tra Italia e Svizzera, fino a pochi decenni fa, questa parola indicava un "lavoro" che spesse volte faceva la differenza tra l'avere due pasti in tavola e il potersi permettere l'acquisto di quanto serviva alle necessità quotidiane e la fame e  la povertà che spesso obbligavano le popolazioni di montagna all'espatrio forzato verso le città o luoghi anche lontani.
Tra la fine del 19° secolo e i primi decenni del 20° moltti colli delle Alpi  Pennine, delle Lepontine, e delle Retiche furono attraversati da gruppi di persone che trasportavano grossi carichi di merci alcuni dei quali arrivavano a pesare anche 40 kg,  che poi venivano vendute "sottobanco" al di qua o al di là del confine.Ad essere trasportati verso la Svizzera erano sopratutto  riso, gomme di biciclette, suole Vibram, salumi;  verso l'Italia sigarette, caffè, zucchero, tabacco, sale. Era un mondo, quello degli "Sfrosit" chiamati anche "Spalloni", che aveva un suo codice etico, al qual non era permesso sgarrare. Era una realtà dalle mille sfaccettarure dove contrabbandieri, popolazione e guardia confinaria erano, a seconda delle circostanze,  amici,  nemici o complici.
Dalle ricerche fatte è emerso che tra Ossola e Svizzera, partendo dalla  nostra vicina Valle Anzasca salendo verso nord fino al passo di Gries e scendendo poi fino alla Val Grande e alle montagne sopra Verbania, sono stati censiti ben 36 passaggi tra colli e canaloni che, più o meno frequentemente, furono percorsi dagli sfrosit nei loro viaggi. Potevano essere passaggi facili tipo il passo di Antigine tra la valle Anzasca e la valle di Saas o più difficili come il canalone di Gondo:  se salite verso il passo del Sempione, appena superato Gondo, la parete quasi a picco  che sovrasta le case presenta una grossa spaccatura, un ripido canalone ben visibile dal tratto di strada tra i due tornanti a monte dell'abitato. Già alla luce del giorno ha un aspetto un po' inquetante, pensate a farlo di notte, senza luna e con 30 o più kg in spalla: all'epoca era una delle vie più sicure, adesso per gli escursionisti di oggi è una via ferrata.
L'importanza di questo fenomeno è stata tale che ha  lasciato dietro sè una serie di nomi di montagne che gli rimarranno perennemente associati:   tra l'alpe Veglia e la val Divedro ci sono un pizzo Zucchero e un pizzo Caffè, sopra il Devero c'è un passo del Contrabbandiere, mentre un altro pizzo Zucchero è presente in valle Onsernone.
Ci sono altri luoghi diventati un simbolo del contrabbando, come il già menzionalto  passo di Antigine nei pressi del più famoso passo di Monte Moro, dove ogni anno si celebra una messa per tutti i contrabbandieri e i finanzieri periti sulle montagne. Un po' più facile invece  è arrivare a Macugnaga dove è stato allestito  il Museo del Contrabbandiere, ma sparpagliati ai piedi delle Alpi ce ne sono parecchi, in Val d'Intelvi, a Erbonne e molti altri.
Tutto questo ci viene raccontato da Erminio Ferrari, giornalista e scrittore di Cannobio, nel suo libro "Contrabbandieri. Uomini e bricolle tra Ossola, Ticino e Vallese" frutto di un'accurata ricerca su questo mondo, ottenuta intervistando gli ultimi protagonisti e analizzando scrupolosamente una montagna di documenti inerenti il contrabbando nel territorio dell'Ossola in  Piemonte. Grazie a lui abbiamo la possibilità di riscoprire questo mondo, fatto di fame, di avventura, di solidarietà e di aiuto, che se fino a pochi anni fa era  un po' dimenticato, ora  ha il potere di  sorprenderci anche svelando   le astuzie che ambedue le parti mettevano in atto per vincere la lotta.  Al termine del libro, uno degli ex contrabbandieri intervistati ha affermato di aver smesso coi viaggi quando si è reso conto che avrebbe dovuto andare in giro armato con il rischio di diventare un assassino, mentre un altro  ha affermato di avere cambiato vita perchè il contrabbando era finito in mano a gente che aveva solo la volontà del profitto facile e a tutti i costi, e quando nelle bricolle la droga aveva preso il posto  del riso, dello zucchero e delle altre merci.


Se quella di Ferrari è da considerarsi una preziosa documentazione, l'argomento, sotto forma di romanzo d'avventura, è stato ripreso anche in un suo  altro testo dal titolo "Passavano di là". E' un breve romanzo ambientato in valle di Bognanco. Il protagonista è l'anziano Meco  attorno al quale gravita la vita di un nugolo di persone. Filo conduttore del libro è l'aiuto che Meco dà a un marocchino che deve attraversare un colle per rifugiarsi i Svizzera.

Nel 1997 è uscito "Nel sole zingaro" di Benito Mazzi. E' una antologia di racconti che l'autore ha raccolto in giro per la valle Vigezzo. Sono i ricordi dei giorni che l'autore ha passato in compagnia della nonna che gestiva un'osteria a Meis e sono aneddoti raccolti dalle testimonianze di contrabbandieri nel corso di decenni di ricerche sul posto.

Un po' più ad est sono ambientate le vicende raccontate in "Sul confine" di Alberto Anzani dal quale è stato tratto anche un dvd. E' un libro singolare, ambientato a Cernobbio e sulle alture della sponda occidentale del lago di Como nel quale l'autore raccontata in prima persona testimonianze raccolte  durante anni di ricerche. Anche in queste pagine emerge  a volte l'aiuto reciproco che le due fazioni si davano reciprocamente: a volte erano gli spalloni che lasciavano una parte del carico, altre erano i finanzieri che chiudevano un occhio al passaggio degli sfrosit, il tutto per trovare un equilibrio tra le necessità degli uni e i doveri degli altri.

Spero di avere suscitato la vostra curiosità, perchè sono quattro libri che meritano veramente di essere letti.

Erminio Ferrari: Contrabbandieri. Uomini e bricolle tra Ossola, Ticino e Vallese; Verbania: Tararà, 2002 (2. Ed.)
Erminio Ferrari: Passavano di là; Bellinzona: Casagrande, 2002
Benito Mazzi: Nel sole zingaro: storie di contrabbandieri; Novara: Interlinea, 1997
Alberto Anzani: Sul confine; Como: Sax Editore,  2005

 

lunedì 16 marzo 2020

Il pastore di stambecchi

Personalmente amo i libri  che narrano di vita vissuta tra le montagne siano esperienze alpinistiche, siano testimonianze della vita di tutti i giorni, e  se poi narra anche di un parco con i suoi animali è ancora meglio.
L'ambiente è la Valle di Rhemes in Valle d'Aosta una delle valli comprese nel Parco Nazionale del Gran Paradiso. In 295 pagine è descritta la vita Luigi Oreiller, 84 anni passati tra pascoli, canaloni, rocce e ghiacciai facendo il cacciatore e poi il guardiacaccia, il contrabbandiere, il manovale e anche il guardiaparco. Sempre con una particolare attenzione alla natura che lo circonda, una grande passione che si manifesta attraverso la sua arte che vede tronchi di legno plasmati in artistiche sculture. Il libro è ricco di aneddoti e di avvenimenti che hanno segnato la storia della valle e dei suoi abitanti, vere testimonianze di un mondo che va lentamente scomparendo. Louis affidando i suoi ricordi ad Irene  Borgna ha suscitato la curiosità della trasmissione Geo&Geo che gli ha dedicato un'intervista estendendo a quest'angolo della Vallée un inusuale filmato trasmesso in tv all'inizio di marzo. La pubblicazione è patrocinata dalla Sede Centrale del Club Alpino Italiano che l'aveva inserita nella collana Passi.
Il pastore di stambecchi, Louis Oreiller e Irene Borgna, Editore Ponte delle Grazie, 2018

mercoledì 26 febbraio 2020

Alpinisti ciabattoni



 In questi ultimi decenni sono state riproposte al pubblico alcune opere letterarie di montagna edite tra fine del 1800 e i primi decenni del 1900 tipo Il terreno di gioco dell'Europa di L. Stephen oppure La mia prima estate sulla Serra di J. Muir, La salita del Cervino di E. Whymper, Fontana di giovinezza di E. Lammer giusto per citarne alcuni. Tutti questi libri hanno in comune una cosa: il testo originale, nella traduzione è stato adattato per essere letto dai lettori del giorno d'oggi. I vocaboli più obsoleti sono stati sostituiti con termini più attuali, la costruzione delle frasi è stata mutata per renderla più semplice, il tutto però sempre mantenendo nei limiti del possibile quelle sfumature che rendono unico ogni scrittore.
"Alpinisti ciabattoni" invece è  un piccolo tesoro di fine XIX secolo, che se fosse stato oggetto anche di una sola delle modifiche di cui sopra, avrebbe perso la maggior parte del suo fascino.
Questa è l'opera più famosa di Achille Giovanni Cagna, nato a Vercelli l'8 settembre 1847. Amico di Faldella e De Amicis, ammiratore di Balzac e Flaubert si dedicò alla scrittura ma solo nella seconda metà degli anni 80, riuscì ad ottenere un successo insperato con questo scritto, che nella prima edizione ebbe la recensione nientemeno che di Eugenio Montale.
Scritto con un linguaggio diventato ormai desueto,  ancor oggi riesce a rendere un'idea precisa di un concetto, di una situazione che si vuole descrivere. Così riscopriamo che "....il sole sprazzava gli ultimi dardi squagliandosi in marosi fiammeggianti..."; oppure che un soppiede si può raggricciare e, per non rendere difficoltoso il camminare, si deve stirare, o ancora "... Una signora con abbondanze matronali sfoggiava al sole l'opulenza massiccia delle sue forme; sotto il giubbetto ponzava un seno monumentale... Martina serrata fino alle orecchie nel suo robone di seta, infagottata nella sua spolverina fatta in famiglia, e le braccia nude oltre al gomito, borbottò in lepidezza bottegaja: Che insegna del martes grass! ".  Sono solo alcuni esempi ma il racconto è ricchissimo di espressioni simili, ed è impossibile immaginarlo riscritto in una versione aggiornata.
E' il racconto delle avventure tragi-comiche del Sor Gaudenzio Gibella e di sua moglie Martina,  una coppia originaria di Sannazzaro, piccola città della Lomellina, dove era proprietaria di una botteguccia ben avviata, e dopo 20 anni di continui rinvii riesce a concedersi la sospirata  settimana di ferie, la prima della loro vita. La meta scelta è il lago d'Orta, del quale hanno tanto sentito parlare. Peccato che niente vada come programmato e tra compagni di viaggio assillanti, albergatori disonesti, sottopiedi fastidiosi, mal di denti e giornate di brutto tempo, il tutto farcito da tanta ingenuità e inesperienza, già da subito i due coniugi sentono la nostalgia della loro quotidianità e della loro bottega.
Il titolo del libro deriva da un'avventura che li vede arrancare sopra Pella alla ricerca dell'alpe Giumello  del quale hanno sentito parlare e dove sperano di poter bere una scodella di latte appena munto. Naturalmente nulla va come deve andare, e quella che sperano sia una bella gita, diventa ben presto un incubo, che li vede tartassati dalla sete, vagare spaesati sotto un sole che "adunghiava ferocemente" tra boschi e pascoli e poi sulla via del ritorno, anch'esso alquanto rocambolesco, che avviene senza essere arrivati all'alpe.

Di quest'opera ci sono tantissime edizioni,  l'ultima delle quali è stata stampata dalla Elliot Edizioni di Roma nel 2013, il che attesta che, anche se sono passati più di 130 anni dalla sua comparsa, il volume è ancora perfettamente attuale, e sembra quasi dare un avvertimento  di quanto può succedere ancor oggi a chi affronta un'avventura, un viaggio o la montagna  senza un'adeguata preparazione.
E' una pubblicazione assolutamente da non perdere, che ci regalerà qualche piacevole ora di sincero divertimento.